La struttura tecnica di un prodotto comunicativo: le forme

La struttura tecnica di un prodotto comunicativo: le forme

Con l’avvento del web, soprattutto dei social network, il mondo della comunicazione pubblicitaria si è evoluto, andando incontro a grossi cambiamenti. Il fattore determinante è il tempo.
Il tempo di attenzione, sceso drasticamente dai 3 minuti di 10 anni fa, quando nacque lo smartphone, agli 8 secondi di oggi; il tempo di fruizione di un contenuto, passato da qualche minuto nello sfogliare un catalogo o un giornale cartaceo a qualche secondo con lo scroll su uno smartphone; il tempo a nostra disposizione che sembra essersi accorciato negli ultimi anni, con la sensazione di non avere più spazio per fare tante altre cose che vorremmo fare nell’arco di una giornata.

Di conseguenza un prodotto comunicativo non può più essere progettato in maniera improvvisata, fatto giusto per “fare un pò di pubblicità alla mia struttura”. Un supporto di comunicazione, che sia un volantino, una brochure, un sito, un post sui social, un video, deve essere gestito da un professionista in grado, con il suo progetto, di farsi largo nel marasma dei messaggi quotidiani, mixando al meglio storia, valori e obiettivi del brand con il vissuto, la cultura, le esperienze, la storia, la parte emotiva e la genetica del consumatore.

Ne parliamo con Linda Granata, graphic e visual designer di Arcadia.

Generalmente un creativo inserisce immagini e forme all’interno di un prodotto comunicativo in base alle regole di impaginazione che non sempre sono funzionali alla memorizzazione, ma rispondono semplicemente a un piacere visivo, solitamente estetico, come per esempio la sezione aurea. Può essere necessario, invece, che un elemento sia composto proprio in modo non corretto perché stupisca il consumatore e magari ne attiri l’attenzione e ne favorisca la memorizzazione?

A volte infatti è proprio la struttura del messaggio e della composizione grafica a influenzare la percezione del fruitore: l’uso dei colori, delle immagini, la gerarchia compositiva delle informazioni, sono tutti fattori che influenzano e determinano la comprensione di lettura.
Il creativo pubblicitario che voglia usare tecniche di persuasione, tenere conto della percezione, delle emozioni e dei bias cognitivi, dovrà mettere il proprio estro, la propria cultura e le proprie esperienze al servizio della percezione del consumatore e non del proprio talento artistico. Questa è la chiave di volta.

In passato è capitato spesso che di fronte a una progettazione creativa il responsabile del progetto mi abbia detto: “Abbiamo usato questa immagine perché vuol dire…”. ”Con questo segno grafico vogliamo comunicare…”.

Bisogna comprendere e deve essere chiaro sempre, che le cose che noi designer progettiamo devono essere comprese da chi le vede, così come tutti i collegamenti che devono essere fatti senza alcuna spiegazione, perché il consumatore non avrà il creativo, o me o altri a spiegare il funzionamento della campagna e i vari collegamenti. Le nostre spiegazioni razionali non hanno nulla a che vedere con la percezione del cliente, che può essere esattamente opposta a quanto esposto.

Questo però presuppone una conoscenza profonda del cliente, dell’azienda e della sua storia. Giusto?

È di fondamentale importanza conoscere il cliente e le sue caratteristiche archetipiche (caratteristiche preesistenti e primitive che sono dentro ad ogni uomo, innate nella sua mente, ereditate assieme al patrimonio genetico, NDR) in modo che la scelta delle immagini, dei disegni e delle forme da parte di noi progettisti grafico creativi non sia in base a un gusto estetico personale e preconfezionato, ma deve essere decodificabile dal consumatore con lo stesso significato che il brand vuole trasmettere.

È senza dubbio questo il punto di partenza di un corretto iter lavorativo di un progetto visivo, quello cioè di puntare all’utilizzo di elementi che facciano parte della storia o di un concept del brand sfruttando linguaggi di immediata comprensione che non vadano incontro alle esigenze di noi progettisti ma che arrivino come messaggi facilmente fruibili al target.

Il processo di sintonia tra progettista e cliente avviene a monte, quando in fase di costruzione di un visual si esaminano le caratteristiche peculiari che devono fare leva, insieme alla composizione grafica, (composta a sua volta da una serie di elementi ben precisi come cromie, font e immagini studiati per quel tipo di comunicazione) a una serie di elementi quali ToV (Tono di Voce) e a un copy appropriato che riescano a trasmettere i valori aziendali senza mai scostarsi da quelli che sono gli obiettivi della comunicazione.

Nei miei 15 anni di esperienza lavorativa ho capito quanto sia importante tradurre attraverso una sintesi compositiva chiara e diretta i valori e l’identità di un brand, tenendo sempre conto che tutto ciò che viene trasmesso attraverso un qualsiasi mezzo di comunicazione è in grado di suscitare una reazione che potrebbe tradursi in azione.
Il nostro obiettivo è senza dubbio quello di produrre brand awareness ma per raggiungerlo non possiamo non tener conto di queste fondamentali regole che richiedono sempre più spesso di immedesimarci nell’utente finale e fare un’analisi di quanto si è prodotto.

Ciò che rende possibile tutto questo è stato a lungo oggetto di studi e ricerche in diversi ambiti: dalla filosofia alla psicologia, dalle scienze cognitive alle neuroscienze. Cosa ne è venuto fuori?

I risultati di molti studi hanno rivelato che le immagini o i disegni condividono gli stessi meccanismi di elaborazione della percezione. Per cui, vedendo ad esempio un’immagine in cui è contenuto un gesto di generosità, è come se un individuo percepisse realmente quel contenuto.

Come possiamo spiegare questo processo in modo che chi ci legge comprenda facilmente il meccanismo?

Come esseri umani diamo priorità a riconoscere un volto, a rilevare il sesso, l’etnia, l’età. In pratica uniamo i singoli elementi visivi e gli diamo un significato maggiore grazie all’esperienza che abbiamo e alla conoscenza acquisita.

Per facilitare questo compito noi creativi possiamo ricorrere alle cosiddette mental imagery, cioè le immagini mentali archetipiche, che permettono di percepire visivamente un oggetto, un evento o una scena, senza che l’oggetto, l’evento o la scena rilevati siano effettivamente presenti ai sensi.

È quello che accade nella nostra mente nel momento in cui ci troviamo a decodificare un testo di un messaggio pubblicitario, la composizione grafica di un packaging, un contenuto social ecc..
Cerchiamo di rielaborare un mix di informazioni in pochi secondi fidandoci delle sensazioni che ne riceviamo e facendo appello al nostro bagaglio culturale, al nostro vissuto, alle emozioni che determinate immagini ci trasmettono.

La bravura di chi fa comunicazione è proprio quello di riuscire a trasmettere in maniera chiara, pulita, diretta, un messaggio senza inquinare i percorsi cognitivi e tenendo conto di questi fattori fondamentali legati all’associazione immediata di determinate simbologie.

Prima di mettere nero su bianco quindi, bisogna ricordarsi sempre che il nostro progetto prende vita e riscuote successo se riesce ad allinearsi con il significato positivo che il pubblico esprime vedendolo grazie a dei format mentali esistenti che non possiamo non considerare.

È fondamentale, quindi, che nel nostro lavoro integriamo le informazioni sensoriali del prodotto comunicativo con i quello che è già presenti in memoria.

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